Il volo con il mio bimbo di due mesi è sembrato un viaggio infinito. Mio marito mi aspettava in un’altra città e ho dovuto affrontare da sola quelle sei ore di volo.
Il mio piccolo, di solito tranquillo e affettuoso, questa volta non riusciva a calmarsi. Forse per il rumore, il cambio di pressione o semplicemente la stanchezza: non smetteva di piangere. Il cuore mi si stringeva tra senso di colpa e impotenza. Lo tenevo in braccio, lo cullavo, lo allattavo, cambiavo il pannolino, ma il pianto non cessava.

Accanto a me sedeva un uomo in abito formale. Il suo volto era stanco, lo sguardo distante, le labbra piene di sospiri. Ci rivolse uno sguardo tagliente e borbottò qualcosa. Ogni volta che i nostri occhi si incrociavano, sentivo pesare sulle spalle il senso di colpa. Feci appello a tutte le energie per non scoppiare in lacrime insieme a mio figlio.
E all’improvviso, mentre pareva che la sua pazienza fosse al limite e stesse per infuriarsi, si voltò verso di me e disse qualcosa che mi paralizzò:
— Datemi il bambino. Lo terrò io, e provi a dormire un po’.
Esitai, confusa:
— Scusi… no, no… non vogliamo assolutamente disturbarla…
Ma lui sorrise, calmo e sicuro.
— Va tutto bene. Sono medico. Pediatra. Ho due bimbi a casa. So com’è. Il volo è sempre stressante per i neonati. Non abbiate paura.
Con cautela gli consegnai mio figlio. Lo prese come se lo avesse sempre fatto. I suoi movimenti erano tranquilli e decisi, e il mio bambino… per la prima volta in quel giorno… smise di piangere e si addormentò serenamente.
I miei occhi si chiusero da soli. Dormii quasi un’ora. Fu l’ora più luminosa e preziosa della giornata.
Quando l’aereo iniziò la discesa, mi restituì con delicatezza il bambino e sussurrò:

— Sei una madre forte. Non dubitarne mai.
Quelle parole risuonarono nel mio cuore come una benedizione. So che le ricorderò per sempre.







